mercoledì 13 febbraio 2008

UN SEMPLICE SEMBIANTE

Nell'ultimo Canto del Paradiso della Divina Commedia, Dante Alighieri descrive la sublime visione di Dio in Paradiso, dopo che S.Bernardo ottiene dalla Madonna che Dante abbia questo privilegio, di vedere Dio. Io ho appreso di questo sublime Canto dalla lezione magistrale che Roberto Benigni ha tenuto alla televisione, nel 2002 per la prima volta. Lezione magistrale non tanto per il valore culturale ma per il valore mistico di cui Roberto Benigni ci ha voluto arricchire. E' stato da lui che ho appreso il significato dell'espressione: Spirito Santo, che significa: santo spiro, cioè il respiro di Dio, che è l'amore tra il Padre e il Figlio, la terza persona della Ss. Trinità. Il Canto incomincia con sette terzine dedicate alla Madonna, che Dante Alighieri fa recitare da S.Bernardo, e già queste sette terzine sono di una bellezza eterna:

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra' mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz'ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Io non li commento, lascio a chi non li conosce il privilegio di andare a documentarsi per godere appieno della loro bellezza. Quindi S.Bernardo prega la Madonna che Dante possa godere della visione beatifica di Dio e la prega anche di conservarlo sano di mente dopo tale visione, perché tale visione eccelsa può fare rincitrullire Dante che non è uno spirito, ma è uno ancora vivo in carne ed ossa. Infatti Dante nel prosieguo del Canto dirà due cose. Dirà che la sua visione è stata tanto eccelsa da non potere essere spiegata con le parole. Primo, perché le parole non sarebbero sufficienti e secondo perché se ne ricorda come di un sogno, vagamente, nella memoria è quasi tutta andata via la visione. Comunque dirà che il suo cuore ancora distilla quella dolcezza e prova a descrivercela. Io non sto qui a raccontare tutto ciò che dice Dante Alighieri. Mi soffermerò su questi versi:

Non perché più ch'un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch'io mirava,
che tal è sempre qual s'era davante;

ma per la vista che s'avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom'io, a me si travagliava.

In queste due terzine Dante Alighieri dice che Dio gli si presentava sotto forma di luce avente un semplice sembiante. Un semplice lume. Eppure dice che guardando “la vista si avvalorava”, vedeva di più di prima e “una sola parvenza, mutandom'io a me si travagliava”: poiché lui stesso mutava, cambiava, allora ciò che gli pareva come una cosa semplice a lui si travagliava, cioè mutava anche lei.

Nessun commento:

Post più popolari