Sono sempre rimasto affascinato dal gioco degli scacchi, fin da bambino. Innanzitutto perché è un gioco di logica matematica si potrebbe dire. Poi per l'infinità di combinazioni diverse che si possono presentare in una partita. In realtà le combinazioni diverse che si possono presentare in una partita non sono infinite, ma sono un numero altissimo che nessuno è riuscito a calcolare nemmeno con l'avvento dei computer. E' affascinante sapere che in quella scacchiera di otto per otto caselle ci sono tante possibilità di giocare una partita da non potere essere contemplate nemmeno con l'ausilio dei più potenti computer. Un'altra cosa che trovo affascinante è il fatto che è un gioco aperto, cioè non esistono variabili nascoste come nel gioco delle carte, perché tutto il gioco è visibile davanti ai due giocatori. Sembrerebbe che la fortuna abbia poco o nessuno spazio, perlomeno se si è giocatori davvero in gamba. Io non sono mai diventato un giocatore di scacchi, appartengo alla categoria dei cosiddetti “principianti”. Confesso che avrei voluto imparare a giocare e una volta cercai di intraprendere seriamente lo studio di questo gioco studiando i libri e le partite dei grandi maestri. Non potei continuare a studiare gli scacchi, però imparai qualcosa di fondamentale. Imparai per esempio che in ogni partita è come se un giocatore vivesse una sua vita in miniatura. Per esempio se uno è portato ad affrontare le questioni a viso aperto sarà portato all'attacco del Re avversario piuttosto che alla difesa del proprio Re. E viceversa. Io vedo il gioco degli scacchi come qualcosa che potrebbe essere educativo, ma solo se non è affrontato in modo esclusivamente agonistico. Lasciamo da parte i campioni, perché ci saranno sempre quelli che per eccellenza del gioco giocheranno agli scacchi in modo agonistico. Ma il resto delle persone potrebbe giocare agli scacchi solo per imparare qualcosa, non per cercare esclusivamente la vittoria.
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