mercoledì 7 maggio 2008

INFERNO CANTO VII

“Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”,
cominciò Pluto con la voce chioccia (aspra e stridula);
e quel savio gentile, che tutto seppe,
disse per confortarmi: “Non ti nuoccia
la tua paura; perché, per quanto potere egli abbia,
non ci impedirà di scendere per questo balzo roccioso”.
Poi si rivolse a quella faccia tumida (‘nfiata labbia),
e disse: “Taci, maledetto lupo!
consumati dentro nella tua rabbia.
Non è senza ragione l’andare al cupo (inferno):
si è voluto in alto, là dove (l’arcangelo) Michele
fece la vendetta del superbo stupro (la ribellione di Satana e degli angeli ribelli)”.
Come le vele gonfiate dal vento
cadono avvolte, dopo che l’albero cade abbattuto,
in tal modo cadde a terra la crudele belva.
Così scendemmo nella quarta lacca (avvallamento),
inoltrandoci di più nella dolorosa ripa
che raccoglie tutto il male dell’universo.
Ahi giustizia di Dio! chi ammassa tante
inaudite tribolazioni e pene quante io ne vidi?
e perché la nostra colpa ci strazia così?
Come fanno le onde là presso Cariddi,
che s’infrangono contro quelle in cui s’intoppano,
così bisogna che qui la gente giri in tondo.
Qui vidi io gente numerosa più che in ogni altra parte,
e da una parte e dall’altra, con grandi urli,
che ruotavano pesi con la forza del petto.
Si scontravano; e poi proprio lì
si rigirava ciascuno, rotolando i pesi dall'opposta parte,
gridando: “Perché tieni?” e “Perché spérperi?”.
Così ritornavano per il cerchio tetro
da entrambi i lati all’opposto punto,
gridandosi anche lì il loro ingiurioso ritornello;
poi si girava ciascuno, quand’era giunto,
per il suo semicerchio all’altro punto di scontro.
E io, che avevo il cuore quasi compunto,
dissi: “Maestro mio, ora spiegami
che gente è questa, e se furono tutti chierici
questi con la chierica alla nostra sinistra”.
Ed egli a me: “Tutti quanti furono guerci,
sì tanto della mente, nella prima vita (terrena),
che nessuna spesa fecero secondo misura.
In modo sufficientemente chiaro la loro voce lo abbaia,
quando giungono ai due punti del cerchio
dove una colpa contraria li divide separandoli.
Questi furono chierici, che non hanno copertura
di capelli al sommo del capo, e papi e cardinali,
in cui l’avarizia usa essere eccessiva”.
E io: “Maestro, tra questi tali
dovrei io ben riconoscerne alcuni
che si fecero immondi di codesti mali”.
Ed egli a me: “Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che li fece sozzi,
li rende ora inconoscibili.
In eterno verranno ai due cozzi:
questi risorgeranno dal sepolcro
col pugno chiuso, e questi coi capelli mozzi.
Il cattivo sperperare e il cattivo accumulare, il bel mondo (il Cielo)
ha tolto loro, e li ha posti a questa zuffa:
quale essa sia, non spendo parole.
Ora puoi, figliolo, vedere il breve soffio di vento
dei beni che sono amministrati dalla fortuna,
per i quali l’umana gente si accapiglia;
che tutto l’oro che è sotto la luna
e che già ci fu, di queste anime stanche
non potrebbe farne posare una”.
“Maestro mio”, dissi io, “dimmi ancora:
questa fortuna a cui tu accenni,
che è, che i beni del mondo ha sì tra le branche?”.
E quegli a me: “Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che vi ferisce!
Ora voglio che tu assimili il mio pensiero come un bambino (mia sentenza ne ‘mbocche).
Colui il cui sapere tutto trascende,
fece i cieli ed assegnò a loro delle guide
in tal modo, che ogni parte (spirituale) risplende ad ogni parte (materiale),
distribuendo ugualmente la luce.
Similmente per gli splendori mondani
ordinò una generale amministratrice e guida
che permutasse a tempo debito i beni effimeri
da gente a gente e da famiglia a famiglia,
senza che intelligenza umana possa impedirlo;
per cui un popolo governa e l’altro languisce,
seguendo il giudizio di costei (la fortuna o meglio provvidenza),
che è nascosto come il serpente dentro l’erba.
Il vostro sapere non può contrastarla:
questa provvede, giudica e attua
il suo regno come gli altri dèi (intelligenze dei Cieli) attuano il loro.
Le sue permutazioni (di beni e onori) non hanno tregua:
necessità la fa essere veloce;
così spesso c'è chi sperimenta l’avvicendarsi della fortuna.
Questa è colei che è tanto posta in croce
proprio da coloro che le dovrebbero dare lode,
dandole, a torto, biasimo e cattiva fama;
ma ella è beata e ciò non ode:
con le altre eccelse creature, lieta
volge la sua sfera e beata gode.
Ora discendiamo ormai a maggior tormento;
già scende ogni stella che saliva
quando ci incamminammo, ed è vietato il soffermarsi troppo”.
Noi attraversammo dritti il cerchio fino all’altra riva
presso una fonte che bolle e si riversa
in un fossato da lei stessa scavato.
L’acqua era buia assai più che nerastra;
e noi, in compagnia delle torbide onde,
entrammo giù per una insolita via.
Nella palude che si chiama Stige sbocca
questo squallido ruscello, quand’è disceso
ai piedi delle maligne coste grige.
E io, che ero intento a guardare,
vidi genti fangose in quel pantano,
tutte nude, con un aspetto offeso.
Queste si percuotevano non solo con le mani,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
lacerandosi con i denti a brano a brano.
Il buon maestro disse: “Figlio, ora vedi
le anime di coloro vinti dall’ira;
e anche voglio che tu per certo creda
che sotto l’acqua vi è gente che sospira,
e fanno pullulare quest’acqua in superficie,
come l'occhio ti dice, ovunque tu lo rivolgi.
Confitti nel fango dicono: “Tristi fummo
nell’aria dolce allietata dal sole,
portando dentro fumo d’accidia:
ora ci rattristiamo nella nera fanghiglia”.
Quest’inno vanno gorgogliando nella strozza,
che non lo possono dire con parole intere”.
Così aggirammo la lorda pozza
facendo un grande arco, tra la ripa asciutta e il fradicio,
con gli occhi rivolti a chi ingurgita fango.
Giungemmo ai piedi di una torre, alla fine.

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