sabato 3 maggio 2008

INFERNO CANTO V

Così discesi dal primo cerchio
giù nel secondo, che racchiude minore spazio
e tanto più dolore, che punge al lamento.
Vi sta in modo orribile Minosse, e ringhia:
esamina le colpe nell’entrata;
giudica e manda (ai diversi luoghi di pena) a seconda di come avvinghia (la sua coda).
Dico che quando l’anima malnata
gli si presenta davanti, si confessa totalmente;
e quel conoscitore dei peccati
vede qual luogo d’inferno è da essa;
si cinge da sé con la coda tante volte
per quanti gradi vuole che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui stanno molte anime:
vanno avvicendandosi, ciascuna al giudizio,
dicono (le loro colpe) e odono (la sentenza) e poi sono precipitate giù.
“O tu che vieni al doloroso albergo”,
disse Minosse a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto ufficio,
“attento a come entri e a colui di cui tu ti fidi;
non ti inganni l’ampiezza dell’ingresso!”.
E il duca mio a lui: “Perché gridi solamente?
Non impedire il suo fatale procedere:
volle così Dio (colà dove si puote
ciò che si vuole), e di più non domandare”.
Ora incominciano le dolenti note
a farmisi sentire; ora sono venuto
là dove molto pianto mi percuote.
Io arrivai in un luogo muto di ogni luce,
che mugghia come il mare fa per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernale, che mai si arresta,
porta gli spiriti con la sua rapina;
voltandoli e percuotendoli li molesta.
Quando giungono davanti alla rovina,
là le strida, il compianto, il lamento;
là bestemmiano la virtù divina.
Intesi che a così fatto tormento
sono dannati i peccatori carnali,
che sottomettono la ragione alla volontà.
E come gli storni sono portati dalle ali
nel tempo freddo, a schiera larga e piena,
così quel vento i mali spiriti
di qua, di là, di giù, di sù li porta;
nessuna speranza li conforta mai,
non di riposarsi, ma di minor pena.
E come le gru vanno cantando i loro lamenti,
facendo in aria di loro una lunga fila,
così vidi io venire, traendo lamenti,
spiriti portati dalla suddetta bufera;
tanto che io dissi: “Maestro, chi sono quelle
genti che l'aura nera così castiga?”.
“La prima di coloro di cui notizie
vuoi tu sapere”, mi disse quegli allora,
“fu imperatrice di molti popoli di diverse lingue.
A vizio di lussuria fu così rotta,
che, nella sua legge, libidine fece sinonimo di lecito,
per cancellare il biasimo a cui era condotta (dalla sua stessa vita).
Ella è Semiramide, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
imperò sulla terra che ora il sultano governa (il sultano d’Egitto).
L’altra è colei che si uccise amorosa (Didone),
e ruppe la promessa di fedeltà alla memoria del marito Sicheo (al cener di Sicheo);
poi c’é Cleopatra lussuriosa.
Vedi Elena (Elena di Troia), per cui per tanto colpevole
tempo si combatté, e vedi il grande Achille
che con (per) amore alla fine combatté.
Vedi Paride e Tristano”; e più di mille
anime mi mostrò e mi indicò nominandole,
che per amore lasciarono la nostra vita.
Dopo che io ebbi il mio dottore udito
nominare le donne antiche e i cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
Io cominciai: “Poeta, volentieri
parlerei a quei due che insieme vanno,
e paiono essere al vento così leggeri”.
Ed egli a me: “Vedrai quando saranno
più vicino a noi; e tu allora pregali
in nome di quell’amore che li trasporta, ed essi verranno”.
Non appena il vento verso di noi li piegò,
mossi la voce: “O anime affannate,
venite a parlarci, se qualcuno non lo impedisce!”.
Come le colombe chiamate dal desiderio
con le ali alzate e ferme al dolce nido
vengono per l'aria, portate dal loro volere;
quei tali vennero via dalla schiera dov’era Didone,
venendo da noi attraverso l’atmosfera maligna,
tanto forte fu l'affettuoso grido.
“O essere grazioso e benigno
che nella fosca atmosfera vai visitando
noi che tingemmo il mondo del rosso del sangue,
se fosse amico il re dell’universo
noi lo pregheremmo di donarti la pace,
poiché hai pietà del nostro male perverso.
Di ciò che udire e che parlare vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi
fintanto che il vento, come fa, qui tace.
E’ situata la città dove nacqui (nata fui)
sulla marina dove sfocia il Po
per trovare pace lui e i suoi affluenti (co’ seguaci sui).
L’amore, che nasce facilmente in un cuore gentile
nacque in costui per la mia bella persona
la quale mi fu tolta; e il modo ancora mi ferisce.
L’amore, che a nessuno che sia amato consente di non ricambiare,
mi prese così fortemente per la sua bellezza,
che, come vedi, ancora non mi abbandona.
L’amore ci condusse ad una (medesima) morte.
Caina (zona dell'inferno più profondo) attende colui che ci strappò alla vita”.
Queste parole da loro ci furono rivolte.
Quando io sentii quelle anime ferite,
abbassai lo sguardo, e tanto lo abbassai,
fino a che il poeta mi disse: “A che pensi?”.
Quando risposi, cominciai: “Oh lasso (ahimé),
quanti dolci pensieri, quanto desiderio
condusse costoro al doloroso passo!”.
Poi mi rivolsi a loro e parlai io,
e cominciai: “Francesca, i tuoi martirii
mi rendono triste e pietoso fino alle lacrime.
Ma dimmi: al tempo in cui fra voi c’erano solo dolci sospiri,
per quale indizio e come vi concedeste all’amore
conoscendo gli inespressi desideri?”.
E quella a me: “Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
nella miseria; e ciò il tuo dottore lo sa.
Ma se di conoscere l’origine
del nostro amore tu hai tanto desiderio,
parlerò piangendo.
Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto stretto dal suo sentimento di amore;
eravamo soli e senza alcun sospetto (di ciò che sarebbe successo).
Per più volte ci spinse a guardarci tra di noi
quella lettura, e i nostri visi impallidirono;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo che la desiderata bocca sorridente
fu baciata da cotanto amante,
questi, che da me non sarà mai diviso
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto (intermediario tra di noi) fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non andammo avanti a leggere”.
Mentre che uno spirito disse questo,
l’altro piangeva; sì che di pietà
io venni meno così come se morissi.
E caddi come un corpo morto cade.

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