lunedì 28 aprile 2008

INFERNO CANTO III

‘Attraverso di me si va nella città dolente,
attraverso di me si va nell’eterno dolore,
attraverso di me si va tra la perduta gente.
La giustizia mosse Colui che mi fece;
mi fece la divina potenza,
la somma sapienza e l’amore di Dio.
Prima di me non ci furono cose create
se non eterne, e io duro in eterno.
Lasciate ogni speranza, voi che entrate’.
Queste parole di colore scuro
vidi io scritte sulla sommità di una porta;
al che io dissi: “Maestro, il significato loro mi è duro”.
E lui a me, come persona accorta:
“Qui si deve lasciare ogni timore;
ogni viltà bisogna farla morire qui.
Noi siamo giunti al luogo che ti dicevo
e tu vedrai le genti dolorose
che hanno perduto il bene dell’intelletto (Dio)”.
E dopo che mi porse la sua mano
con lieto volto, così che io mi confortai,
mi introdusse alle cose segrete.
Là sospiri, pianti e alti lamenti
risuonavano per l’aria senza stelle
così che io subito piansi.
Strane lingue, orribili pronunce,
parole di dolore, accenti di ira,
voci alte e fioche e insieme suoni di percosse con le mani
facevano un tumulto che si aggirava intorno
in quell’aria eternamente scura,
come la sabbia quando il turbine soffia.
E io che avevo la mente sconvolta,
dissi: “Maestro, cos’è quel che io sento?
e che gente è che sembra nel dolore così vinta?”.
E lui a me: “Questa misera condizione
mantengono le tristi anime di coloro
che vissero senza riportarne infamia e senza riportarne lode.
Mischiate sono a quel cattivo coro
degli angeli che non furono ribelli
e neanche furono fedeli a Dio, ma furono per se stessi.
Li cacciano via i Cieli per non essere meno belli,
e nemmeno il profondo inferno li riceve,
che i colpevoli, di essi, avrebbero di che gloriarsi”.
E io :“Maestro, cos’è tanto greve
a loro che li fa lamentare così forte?”.
Rispose: “Te lo dirò sommariamente.
Questi non hanno speranza di morte,
e la loro oscura condizione è tanto bassa,
che invidiosi sono di ogni altra sorte.
Il mondo non lascia che perduri la fama di loro;
la misericordia e la giustizia li sdegnano:
non ragioniamo di loro, ma guarda e passa”.
E io, che guardai, vidi una bandiera
che girando correva così veloce,
che non si degnava mai di alcuna posa;
e dietro le veniva una così lunga fila
di gente, che io non avrei mai creduto
che la morte tanta ne avesse disfatta.
Dopo che ebbi riconosciuto alcuno,
vidi e riconobbi il fantasma di colui
che fece, per viltà, il gran rifiuto.
Subito capii e certo fui
che questa era la setta di quei cattivi,
spiacenti a Dio e ai nemici Suoi.
Questi sciagurati, che mai furono vivi,
erano nudi e punzecchiati molto
da mosconi e da vespe che erano lì.
Queste rigavano loro di sangue il volto,
che, misto alle lacrime, ai loro piedi
da fastidiosi vermi era raccolto.
Dopo che guardai più in là,
vidi genti alla riva di un grande fiume;
così che io dissi: “Maestro, concedimi
di sapere che tipo di anime, e quale consuetudine
le fa sembrare così sollecite di attraversare (il fiume),
come io discerno per la poca luce”.
E lui a me: “Le cose ti saranno raccontate
quando noi fermeremo i nostri passi
sul triste fiume Acheronte”.
Allora con gli occhi vergognosi e bassi,
temendo che il mio dire fosse importuno,
mi trattenni dal parlare fino al fiume.
Ed ecco che verso di noi viene su un imbarcazione
un vecchio, bianco per la canizie,
gridando: “Guai a voi, anime malvagie!
Non sperate mai di vedere il Cielo:
io vengo per portarvi all’altra riva
nelle tenebre eterne, nel caldo e nel gelo.
E tu che sei lì, anima viva,
allontanati da questi che sono morti”.
Ma dopo che vide che io non me ne andavo,
disse: “Per altra via, per altri porti
approderai, non qui, per passare:
più lieve legno conviene che ti conduca”.
E il duca disse a lui: “Caronte, non ti crucciare:
volle così Dio (colà dove si puote
ciò che si vuole), e di più non domandare”.
Da quel momento furono quiete le lanose gote (Caronte non parlò più)
del nocchiero della livida palude,
che intorno agli occhi aveva cerchi di fuoco.
Ma quelle anime, che erano accasciate e nude,
cambiarono colore e dibatterono i denti,
non appena intesero le parole crude.
Bestemmiavano Dio e i loro genitori,
la specie umana e il luogo e il tempo e il seme
dei loro antenati e dal quale nacquero.
Poi si adunarono tutte quante insieme,
piangendo forte, sulla riva malvagia
che attende ciascun uomo che non teme Dio.
Il demonio Caronte, con occhi di brace
accennando loro, tutte le raccoglie;
batte col remo chiunque indugia.
Come in autunno si distaccano le foglie
una dopo l’altra, fino a che il ramo
vede a terra tutte le sue spoglie,
allo stesso modo i malvagi discendenti di Adamo
si spiccano da quel lito uno alla volta,
ai cenni (di Caronte) come un uccello da caccia al richiamo del padrone.
Così se ne vanno per l’onda cupa,
e prima che siano approdati di là,
ancora di qua una nuova schiera si aduna.
“Figliolo mio”, disse il maestro cortesemente,
“quelli che muoiono nell’ira di Dio
convengono tutti qui da ogni paese;
e sono pronti ad attraversare il fiume,
perché la divina giustizia li sprona,
così che la paura si muta in desiderio.
Di qui non passa mai un’anima buona;
e perciò, se Caronte di te si lagna,
ben puoi dedurre ormai il significato delle sue parole”.
Finito ciò, la buia landa
tremò così forte, che dello spavento preso
la memoria ancora mi bagna di sudore.
La terra lacrimevole sprigionò un turbine di vento,
che balenò in una vampa di fuoco
la quale vinse i miei sensi
e caddi come l'uomo che si addormenta.

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