lunedì 28 aprile 2008

INFERNO CANTO II

Il giorno se ne andava e il cielo imbrunito
toglieva gli esseri animati che sono in terra
dalle loro fatiche; e unicamente io
mi preparavo a sostenere la prova
sia del cammino e sia del cuore,
di cui riferirà la mia memoria, senza errore.
O muse, o alto ingegno, siate il mio aiuto;
o mia mente che registrasti ciò che io vidi,
qui si manifesterà la tua nobile perfezione.
Io cominciai a dire: “Poeta che mi guidi,
guarda bene il mio valore, se son capace di tanto,
prima che all’alto passaggio tu mi commetta.
Tu dici che il genitore di Silvio (Enea),
ancora in veste mortale, nell’immortale
mondo andò, e ci andò dotato di tutti i suoi sensi.
Perciò, se l’avversario di ogni male (Dio)
cortese gli fu, pensando all’alto effetto
che da lui ne doveva conseguire, e chi lui era e quale lui era
non parrebbe indegno a un uomo d’intelletto;
che egli fu dell’anima di Roma e del suo impero (l'impero romano)
nell’Empireo Cielo (da Dio) eletto come padre:
la quale Roma e il quale impero romano, a volere dire il vero,
furono stabilite per il santo luogo
dove ora siede il successore del più grande Pietro (il Papa).
Per questo suo viaggio di cui tu gli dai vanto
egli udì cose che furono la causa
della sua vittoria (contro Turno) e del futuro insediamento del Papa.
Vi andò poi il Vaso d’elezione (San Paolo Apostolo),
per riportarne conferma e sostegno a quella fede
che è principio alla via di salvezza (la fede cristiana).
Ma io, perché venirvi? o chi lo concede?
Io non sono Enea, io non sono Paolo;
che io sia degno a ciò, né io né altri ci si crede.
Perché, se io acconsento di venirvi,
temo che la mia venuta sia folle.
Sei savio; intendi meglio di quello che ti può dire il mio ragionamento”.
E come fa colui che vuole e disvuole
e per nuovi pensieri cambia proposito,
così che rinuncia del tutto a ciò che aveva cominciato,
così mi feci io in quell'oscuro pendio,
perché, nel pensarvici, già esaurii l’impresa
che all’inizio intrapresi senza indugio.
“Se io ho inteso bene il tuo discorso”,
rispose lo spirito del magnanimo Virgilio,
“l’anima tua è macchiata di viltà;
la quale viltà molte volte ostacola l’uomo
così che da un'onorata impresa lo rivolge indietro,
come la falsa percezione della bestia quando vede un’ombra.
Affinché tu ti sciolga da questa paura,
ti dirò perché io venni a te e quello che udii
nel primo istante che sentii dolore per te.
Io ero tra coloro che sono sospesi (nel limbo),
e una donna mi chiamò, così beata e bella,
che io mi misi ai suoi ordini.
Lucevano i suoi occhi più delle stelle
e mi cominciò a dire dolce e soave,
con angelica voce, nel suo dialetto:
-O anima cortese mantovana,
di cui la fama ancora dura nel mondo,
e durerà fino alla fine del mondo,
il mio amico, ma non amico della buona ventura,
nella deserta costa è impedito
talmente nel procedere, che si è voltato indietro per paura;
e temo che non sia già così smarrito,
che io mi sia levata tardi in suo soccorso,
per ciò che io ho di lui nel cielo udito.
Ora muoviti tu, e con la tua parola ornata
e con ciò che è necessario alla sua salvezza,
aiutalo così che io ne sia consolata.
Io sono Beatrice, che ti mando;
vengo dal luogo (il paradiso) dove desidero tornare;
l’amore mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò davanti al mio Signore,
sovente a Lui farò le tue lodi-.
Allora tacque, e cominciai io:
-O donna virtuosa, solamente per la quale virtù
l’umana specie supera ogni contenuto
di quel cielo che ha il cerchio minore (il cielo della luna),
tanto mi è gradito il tuo comando,
che l’immediato ubbidire mi sarebbe già tardi;
non ti serve altro che esprimermi il tuo desiderio.
Ma dimmi perché non ti preoccupi
di scendere qua giù in questo centro
dall’ampio luogo dove tu ardi di tornare-.
-Da che tu vuoi saperlo,
ti dirò brevemente-, mi rispose,
-perché non temo di venir qua dentro.
Temere si deve di sole quelle cose
che hanno potere di fare agli altri male;
delle altre no, non c’è da aver paura.
Io sono fatta da Dio, per sua grazia, tale,
che la vostra miseria non mi tocca,
né mi assale la fiamma di questo incendio.
Nel Cielo vi é gentil Donna che si compiange
che ci sia questo impedimento che tu vada dove io ti mando,
sì che la dura sentenza divina annulla.
Questa gentil Donna fece chiamare Santa Lucia
e le disse: - Ora ha bisogno il tuo fedele
di te, ed io a te lo raccomando -.
Lucia, nemica di ogni crudeltà,
si mosse, e venne dove io ero,
che stavo seduta con l’antica Rachele.
Disse: -Beatrice, che con il tuo essere sei una vera lode di Dio,
perché non soccorri colui che tanto ti amò,
che ispirato da te si distinse dal comune popolo?
Non senti tu l’angoscia del suo pianto?
Non vedi tu la morte contro cui combatte
su la fiumana a cui confronto il mare non può vantare un impeto maggiore?-.
Al mondo non ci furono mai persone così rapide
a recare loro vantaggio o a sfuggire loro danno,
come me, dopo cotali parole,
venni qua giù dal mio beato seggio
per affidarmi a te e al tuo parlare dignitoso,
che fa onore a te e a quelli che l’hanno udito-.
Dopo che mi fece questo discorso,
volse gli occhi lucenti e lacrimanti,
così che mi fece venire più rapidamente.
E venni a te così come ella volle:
ti tolsi dall’affrontare quella belva
che il corto cammino del monte ti impedì.
Dunque: che è? perché ti fermi,
perché tanta viltà nel cuore alberghi,
perché ardire e franchezza non hai,
dal momento che tre donne benedette tali
si curano di te nella corte del cielo,
e il mio parlare tanto bene ti promette?”.
Come i fioricini per il gelo della notte
piegati e chiusi, dopo che il sole li illumina
si drizzano tutti aperti sul loro stelo,
così feci io della mia virtù stanca,
e tanto buon coraggio mi corse al cuore,
che io cominciai a dire come persona franca:
“Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese che ubbidisti subito
a le sincere parole che ti rivolse!
Tu mi hai con desiderio disposto il cuore,
sì al venire, con le parole tue,
che io son tornato nel mio primo proposito.
Ora vai avanti, che tutt’e due abbiamo lo stesso volere:
tu guida (duca), tu signore e tu maestro”.
Così gli dissi; e poi che si fu avviato
entrai per il cammino difficile e aspro.

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