giovedì 8 maggio 2008

INFERNO CANTO IX

Quel colore (pallido) che la paura mi dipinse sul viso
vedendo il duca mio tornare indietro,
fece sì che egli respingesse più rapidamente dentro di sé il suo nuovo colorito.
Attento si fermò come chi ascolta;
che l'occhio non poteva vedere lontano
attraverso la nera atmosfera e la nebbia folta.
“Eppure a noi sarà meglio vincere la contesa (la pugna)”
cominciò lui, “se non... Tale si offerse a noi:
oh quanto sono impaziente che qui giunga!”.
Io mi accorsi sì bene come egli ricoprì
il suo cominciare con l’altro che poi venne,
che furono parole diverse dalle prime;
ma non di meno il suo dire ci diede paura,
perché io traevo dalla frase tronca
un significato peggiore di quello che non aveva.
“In questo fondo della triste conca
discende mai alcuno del primo cerchio,
la cui unica pena è la speranza monca?”
Questa domanda feci io; e quegli: “Raramente
capita” mi rispose “che di noi
alcuno faccia il cammino per il quale io vado.
Vero è che fui qua giù un’altra volta,
scongiurato da quella crudele Eritòne
che richiamava gli spiriti ai loro corpi.
Da poco tempo avevo lasciato la mia carne (ero morto),
che ella mi fece entrare dentro quelle mura,
per portarne via uno spirito del cerchio di Giuda.
Quello è il luogo più basso e il più oscuro
e il più lontano dal Cielo che tutto abbraccia:
conosco bene il cammino; perciò stai sicuro.
Questa palude che esala il gran puzzo
cinge tutt’attorno la città dolente,
dove non possiamo entrare ormai con le maniere buone.”
E disse altro, ma non lo ho a mente;
perché la mia attenzione fu tutta rivolta
verso l’alta torre dalla cima rovente,
dove in un istante immediatamente si drizzarono
tre furie infernali tinte di sangue,
che avevano atteggiamento e membra femminili,
e con verdissime idre erano cinte;
La loro capigliatura era di serpentelli e ceraste,
dei quali erano avvinte le mostruose tempie.
E quegli, che ben riconobbe le ancelle
della regina dell’eterno pianto,
“Guarda” mi disse “le feroci Erinni.
Questa è Megera al lato sinistro;
quella che piange al lato destro è Aletto;
in mezzo c’è Tesifone”; e poi tacque.
Ciascuna si fendeva il petto con le unghie;
si battevano con le palme e gridavano sì forte,
che io mi strinsi al poeta per timore.
“Venga Medusa: così lo faremo di pietra”
dicevano tutte guardando in giù:
“Facemmo male a non vendicarci dell'assalto di Teseo”.
“Voltati e copriti il viso;
perché se il Gorgone (Medusa) si mostra e tu lo vedessi,
non sarebbe mai più possibile ritornare su”.
Così disse il maestro; ed egli stesso
mi voltò, e non si tenne alle mie mani,
che mi ricoprì il viso anche con le sue.
O voi che avete gli intelletti sani,
mirate la dottrina che si nasconde
sotto il velo dei misteriosi versi.
E già veniva su per le torbide onde
un rumore di fracasso spaventoso,
per il quale tremavano ambedue le sponde,
non generato altrimenti che da un vento
impetuoso per lo scontrarsi di aria calda e aria fredda (per li avversi ardori),
che ferisce la selva e senz’alcun ostacolo
schianta i rami, abbatte e porta fuori;
avanti va polveroso e superbo,
e fa fuggire le bestie ed i pastori.
Mi liberò gli occhi e disse: “Ora drizza l’acume
della vista su per quella schiuma antica
là dove quella nebbia è più densa”.
Come le rane di fronte alla nemica
biscia nell’acqua si dileguano tutte,
fino a che ciascuna si raggroppa sulla terra,
vidi io più di mille anime distrutte
fuggire così davanti ad uno che camminando
attraversava Stige con le piante dei piedi asciutte.
Dal volto rimuoveva quel denso vapore
portando davanti spesso la mano sinistra;
e solo di quella angoscia sembrava affaticato.
Ben mi accorsi che egli era inviato dal Cielo,
e mi rivolsi al maestro; e quegli fece segno
che io stessi quieto e che io mi inchinassi ad Egli.
Ahi quanto mi appariva pieno di disdegno!
Arrivò alla porta e con una piccola verga
la aprì, senza trovarvi alcuna resistenza.
“O cacciati dal Cielo, gente spregevole”,
egli cominciò sull’orribile soglia,
“da dove viene questa tracotanza che si accoglie in voi?
Perché recalcitrate a quella volontà (di Dio)
a cui non si può mai impedire che giunga a buon fine,
e che più volte vi ha accresciuto il dolore?
A che giova dare di cozzo nel fato?
Il vostro Cerbero, se ben vi ricordate
ne porta ancora il mento e il gozzo spelati”.
Poi si volse indietro per la strada lorda,
e non fece parola a noi, ma mostrò l’atteggiamento
di un uomo preoccupato e intento ad altra cura
che non quella di colui che gli è davanti;
e noi movemmo i piedi verso la città,
sicuri dopo le parole sante.
Dentro vi entrammo senza alcuna guerra;
e io, che avevo desiderio di guardare
la condizione delle anime rinchiuse in tale fortezza,
come io fui dentro, invio l'occhio intorno:
e vedo a destra e a sinistra una grande campagna,
piena di dolore e di colpevole tormento.
Così come ad Arles, dove il Rodano stagna,
così come a Pola, presso il golfo del Quarnaro
che bagna i confini dell'Italia delimitandoli,
i sepolcri fanno tutto il luogo ineguale,
così facevano là in ogni parte,
salvo che il modo era più amaro;
perché tra le tombe erano sparse delle fiamme,
per le quali erano così incandescenti,
che nessun arte (di fabbro o di fonditore) chiede che il ferro lo sia di più.
Tutti i loro coperchi erano alzati,
e fuori ne uscivano lamenti così duri,
che ben parevano essere di miseri e di offesi.
E io: “Maestro, chi son quelle genti
che, sepolte dentro quei sarcofaghi,
si fanno sentire coi dolorosi sospiri?”.
E quegli a me: “Qui ci sono gli eretici
con i loro seguaci, di ogni setta, e molto
di più di ciò che credi ne sono piene le tombe.
Qui il simile è sepolto con il suo simile,
e i monumenti hanno diversi gradi di incandescenza”.
E dopo essersi girato dal lato destro,
passammo tra i martirii e le alte mura.

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