lunedì 2 marzo 2009

Carissimo amico. Lettera sulla droga - di Vittorino Andreoli - Ed Rizzoli

Ho ultimato la lettura di questo nuovo libro di Vittorino Andreoli, autorevole psichiatra italiano. Dirò subito che Andreoli è uno di quelli che una persona superficiale definirebbe “moralista”. Da questa lettura ho appreso che in Andreoli sono vivi “principi”, dei quali principi egli stesso parla, che sono del tutto conformi a una visione cristiana del mondo e in nulla difformi ad essa. Si può dire che Andreoli è uno di quelli di cui parla S.Paolo, che “hanno la Legge in loro, pur essendo senza Legge” e cioè che pur non essendosi proposti di seguire i comandamenti divini, possiedono però questa Legge, questi “comandamenti”, profondamente nel loro cuore e perciò sono ben accetti a Dio. Infatti in Andreoli sono ben vivi tutti quei principi cristiani, pur affermando egli stesso di non aderire a uno specifico credo religioso, ma non per questo di avere smesso di cercare Dio. Tenuto conto di questo, riesco a essere persino contento del fatto che egli non aderisca ancora a un credo religioso, per il semplice fatto che la sua analisi, che io condivido, (sulla droga e sulla società) non può in questo modo dirsi che è stata dettata da “dogmi” e da ipotetici preconcetti di stampo religioso. Egli parla di “umanesimo”, non di Dio e di dogmi, anche se il Dio è cercato e non osteggiato. Parla di amore, soprattutto. (E Dio è amore!)
In definitiva, l'esperienza e l' “umanesimo” di una vita intera di uno stimato psichiatra porta a conclusioni, sul vivere sociale, coincidenti, assolutamente non difformi, a quelle di una “visione cristiana”! Anche sul tema della fedeltà coniugale, la quale, nei tempi nostri più recenti, è stata ed è oggetto di attacchi sempre più forti in nome di un preteso e falso progressismo!
Così, la sua denuncia sulla droga
è insieme anche una denuncia sulla nostra società. Una società che ha perso la sua identità. Una società che vive per il potere, il guadagno, la produzione, il godimento immediato. Una società che non sa educare i figli, perché non li sa amare. Una società che ha paura della fragilità e per questo ha perso la sua identità e ricerca la sicurezza nel potere. Una società che ha perso il senso di colpa e quindi ogni azione è perfettamente giustificabile in quanto ti dà un godimento, un vantaggio immediato. E il consumo di droga si inserisce perfettamente in questo quadro! Non si sa più vivere la propria fragilità, dalla quale si rifugge, e invece si cerca la sicurezza nella droga (tutte le droghe, dall'alcool al tabacco fino all'eroina e la cocaina, oggi la più diffusa). Si trasferisce la propria paura, la propria incapacità di vivere, sulla droga. E la droga diventa insieme ricercata per gli effetti piacevoli e diventa essa stessa il nuovo oggetto su cui trasferire la propria incapacità di vivere.
Andreoli dice che con la droga si rinuncia alla propria identità. Avviene una metamorfosi e in questa metamorfosi il drogato si può sentire diverso da prima e più sicuro di prima. Però si rinuncia alla propria identità, alla propria storia, al proprio senso dell' “esserci” nel mondo. Bisognerebbe imparare ad accettarsi anche in quelle situazioni di fragilità e di sofferenza e per farlo bisogna che ci sia qualcuno disposto ad accettarti così come sei. Non è solo un problema di dipendenza fisica dalla droga, dipendenza che è il peggiore dei suoi nefasti effetti, ma è nondimeno il rinunciare alla propria identità e all' “essere uomo” così come bisognerebbe essere. E' rinunciare alle enormi, sempre sorprendenti potenzialità dell'uomo e del cervello umano. Andreoli dice che la droga non dà
creatività, ma, parlando della cocaina, potenzia solamente quelle attività del cervello superficiali, tipo memoria e attenzione, per cui sembra che si è più brillanti, e non quelle attività profonde che ti permettono di ragionare correttamente e di meditare profondamente. E per questo la cocaina è la droga del nostro tempo, tempo in cui ci si deve mostrare attenti, brillanti e scattanti, ma poi è tutta superficie e si trascurano le profonde potenzialità dell'uomo. Per questo Andreoli è rattristato e preoccupato non solo per i danni fisici provocati dalla droga, ma perché un uomo o un giovane rinuncia a se stesso, alle sue potenzialità e a tutta la straordinarietà dell'essere uomo, uomo fragile ma “uomo”, naturale e non artificiale, chiudendo la porta a un possibile futuro migliore, per vivere unicamente per quella polvere bianca, la quale diventa, per chi ha raggiunto la dipendenza, lo scopo di tutta la vita e il centro di tutti i pensieri. E così per disintossicarsi non è sufficiente eliminare solo la dipendenza fisica dalla droga, ma occorre restituire quel senso umano alla vita che si era perduto e che ha fatto sì che una vita venisse buttata nella droga. Il libro di Andreoli appare tanto più attendibile nei suoi contenuti in quanto è stato scritto a mo' di lettera a un ipotetico lettore e non di “manuale” ed i suoi richiami a un' “umanità” della vita sono dettati dalle sue convinzioni profonde più che da un “sapere accademico”. Ancora qui si dice che la nostra è una società sempre più drogata e che la droga non è più vista come un male, ma piuttosto è invalso l'uso di “insegnare”, se si deve fare uso di droga, a come farlo “responsabilmente” e col minore danno possibile. E infatti si fa uso di droga nelle alte sfere della nostra società e persino in parlamento! Fondamentale, per l'autore, è l'educazione dei giovani all'interno della famiglia e per educare non è sufficiente “istruire” ma bisogna amare. Invece nel nostro mondo oramai i figli sono “visti come un problema, nel migliore dei casi o come delle disgrazie”. Secondo l'autore del libro, ci deve essere un rapporto tra genitore-figlio che deve essere desiderato, e non solo per il bene del figlio, ma anche per il bene del genitore, che desidera amare quel figlio. Andreoli parla anche del suo proprio rapporto col proprio genitore, col padre. Da come ne parla, evidentemente è stato un bel rapporto, nel quale egli si sentiva davvero amato. Quasi alla fine del libro, egli forse non si accorge nemmeno di fare delle considerazioni che io direi “mistiche”. Infatti dice che si reca spesso alla tomba del padre, che parla ancora con lui e che lo sente presente come se fosse ancora vivo! Alla fine ci siamo nuovamente ricondotti all'amore, al rapporto umano, al rapporto tra persona e persona, come chiave per risolvere ogni tipo di problema! Per essere vivo, per non buttarti nella droga, tu devi essere vivo per qualcuno e questo qualcuno può essere il padre, la madre, il figlio, la famiglia, il coniuge, gli amici o il Padre Eterno! Io, parlando personalmente, sono vivo per il Padre Eterno, perché ci credo e ho un rapporto con Lui come se fosse una persona (e lo E'!). Automaticamente, questo mio vivere per il Padre Eterno, fa sì che anche le altre persone siano “vive”. Senza questa mia fede nel Padre Eterno, per me nulla avrebbe senso in questa vita! Ed è anche una condizione dolorosissima che ho già sperimentato! In questa chiave, dell'amore per una persona e non per una sostanza, possiamo leggere la canzone di Mariah Carey del post precedente: “Without you” (Senza te). “I can't live if living is without you” (Non posso vivere se vivere è senza di te)!

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